A partire dal fatto che è una vera e propria malattia, seria, cronica e psicologicamente devastante, va curata con approccio scientifico. Come ci spiega il dottor Claudio Pandolfi.
È ora di superare il motto “mangia di meno e muoviti di più”, abbattere lo stigma che affligge le persone che ne soffrono e iniziare davvero a curare e prevenire l’obesità come se si trattasse di un cancro mammario. Queste le linee guida della Società Italiana dell’Obesità, che il dottor Claudio Pandolfi, specialista Endocrinologo, sposa appieno e approfondisce in questa intervista.
Dottor Pandolfi, come possiamo definire l’obesità?
È una malattia complessa, progressiva e recidivante in cui il grasso eccessivo provoca danni. Da qui scaturisce la nuova definizione “Adiposity Based Chronic Disease” (l’acronimo inglese è ABCD, ovvero malattia cronica causata dal tessuto adiposo).
Cosa c’è di noto e di nuovo nel settore?
Tradizionalmente la diagnosi si basa sul BMI (body mass index), che dà informazioni sulla percentuale di massa grassa e magra nel corpo, ma non indica l’impatto sulla salute della persona. La novità è il sistema di “stadiazione” EOSS (Edmonton Obesity Staging System) che oggi guida le decisioni cliniche per ogni livello di BMI. In base alle evidenze scientifiche, questo sistema incrocia l’indice di massa corporea con l’età del paziente, il suo stile di vita, le capacità motorie, le patologie presenti, le complicanze pregresse e dà indicazioni precise e certe sulla terapia da impostare, per ogni livello classificato.
Obesità e Covid: qual è la relazione?
Purtroppo la relazione è comprovata. Durante la recente pandemia abbiamo verificato scientificamente che l’obesità è un forte fattore di rischio, sia di contrarre l’infezione sia di sviluppare la malattia da coronavirus nelle forme più gravi. Questo succede perché il coronavirus si aggancia ai recettori cellulari ACE2 per entrare nelle cellule e il tessuto adiposo ne è particolarmente ricco! Il virus così internalizzato provoca squilibri nella produzione di sostanze pro-infiammatorie, dette c tochine, con conseguenze a livello dei vasi polmonari. Bisogna poi considerare che nel paziente obeso il sistema infiammatorio è già attivato a livello cronico, con depressione immunitaria contestuale. In sostanza se si è obesi, si è molto più esposti al virus.
Perché molti, dopo una dieta, riprendono peso?
Troppo spesso i pazienti in forte sovrappeso o obesi sono accusati di pigrizia e scarsa collaborazione. L’effetto “rebound”, per il quale si riacquista peso, è provocato da adattamenti metabolici, dovuti alla riduzione di massa grassa e magra. È un effetto sostenuto da meccanismi regolatori potenti che agiscono tramite enterormoni e recettori dei nuclei ipotalamici che, mentre aumentano l’appetito, riducono la spesa energetica. Dopo una restrizione calorica, il senso di fame aumenta ed è persistente. È quindi evidente la pericolosità di diete fai da te e di percorsi non seguiti da figure mediche.
C’è molto pregiudizio su questa malattia; cosa si può fare?
Bisogna lavorare subito per contrastarlo: c’è un’attitudine negativa verso le persone obese che porta a considerarle attraverso stereotipi sociali radicati. Ci si riferisce a loro come pigri, falliti, non intelligenti, senza carattere e si giunge a vere discriminazioni, ad attacchi verbali o fisici, al bullismo, agli abusi e all’esclusione sociale. È necessario accompagnare il paziente attraverso un lavoro di empowerment, per dargli consapevolezza, spiegare la situazione e renderlo protagonista del suo percorso, anche quando dovesse includere l’intervento chirurgico bariatrico.